·

Notizie

Caso Oppido: quando serve un intervento dall’“alto” è sempre una sconfitta

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Per un anno niente processioni nella Diocesi di Oppido – Palmi. Con questa decisione il Vescovo Mons. Francesco Milito ha concretizzato l’annuncio fatto poche ore dopo lo scoppio del “caso Oppido” che ha puntato i riflettori di tutto il Paese sul piccolo comune della Locride. “Prenderemo dei provvedimenti”, aveva detto Milito condannando il gesto dei portantini che avevano fatto inchinare la statua della Madonna delle Grazie di fronte alla casa del boss Mazzagatti, già condannato all'ergastolo per omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso. La notizia del provvedimento radicale preso da Milito arriva nel flusso di notizie che hanno fatto da colpi di coda a quello che abbiamo ribattezzato il “caso Oppido”: altre processioni sotto i riflettori non solo della stampa e dell’opinione pubblica, ma anche della Dda di Reggio Calabria che, come dichiarato dallo stesso Procuratore Cafiero De Raho, sta indagando su inchini “anomali” avvenuti durante i riti religiosi di due comuni della Provincia reggina, San Procopio e Scido. E visto che – come si dice dalle nostre parti – “la bocca è una ricchezza”, non poteva mancare la dichiarazione del parroco di Oppido Don Benedetto per annunciare la sua “vicinanza” ai denunciati perché “la redenzione è per tutti”. Se qui finisce la cronaca del caso Oppido, tralasciando i tanti commenti e le tante prese di posizione, possiamo provare a tirare fuori una conclusione: c’è stata una sconfitta della società calabrese. Di sconfitta si tratta, infatti, quando una qualsiasi realtà sociale non riesce ad autoregolamentarsi e deve intervenire lo Stato dall’alto. La posizione del Vescovo di Oppido è chiara e, alla luce di quanto scrivevamo settimana scorsa, riflette quanto disposto dal diritto canonico sulle associazioni laicali, vale a dire il dovere del Vescovo di “avere cura e vigilare” sulle aggregazioni di fedeli quali sono i portatori di statue dei santi. Ma qui non è il provvedimento del Vescovo che si vuole criticare, né le altrettanto necessarie verifiche disposte dalla Dda di Reggio Calabria e dal Procuratore Cafiero De Raho. In quanto accaduto ad Oppido, c’è l’immagine di una società calabrese che non riesce da sola a isolare i disonesti, ad autoregolamentarsi, a raggiungere quel grado di maturità civica per cui non è lo Stato o la gerarchia a imporre cosa fare o cosa non fare, ma è la società stessa che sceglie ciò che è giusto per il bene comune. Un po’come avviene per i partiti politici: quando è una legge a dover dire chi candidare e chi non candidare, quando lo Stato deve mettere il becco e controllare per impedire che si ritrovino in lista candidati “poco presentabili”, c’è una sconfitta della società, del senso civico delle persone. Non tutto il male viene per nuocere e se la processione di Oppido sarà servita a scrollare certi “gattopardismi” della società calabrese e della stessa Chiesa, dove troppi forse sono convinti che conviene che “tutto cambi perché nulla cambi”, rappresenterà un passo in avanti nel cammino indicato da Papa Francesco a Cassano. Ma qui non parliamo solo di Chiesa. Parliamo di società calabrese in tutte le sue espressioni, una società infettata dalla criminalità organizzata, che ha bisogno dello Stato ma non di quello “legge ed ordine”, di quello che controlla e pianifica ogni singolo comportamento. La nostra società calabrese sarà davvero libera quando tutto ciò non sarà necessario, quando sarà il senso civico dei calabresi a discernere mentalità, comportamenti, le scelte quotidiane che costruiscono il tessuto sociale di una comunità. Se fosse stata la popolazione stessa ad indignarsi, ad isolare i portantini che hanno compiuto l’inchino incriminato, a creare le condizioni per sradicare queste mentalità e comportamenti, allora ci sarebbe stato veramente un cambio di passo. Ma quando è la legge, ecclesiastica o civile che sia, a essere costretta a intervenire: allora siamo di fronte a una sconfitta della società calabrese, dove c’è ancora molto e molto da lavorare.