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Il Vangelo della domenica

Riflessione sulle letture della solennità dei Santi Pietro e Paolo

Paolo Emanuele · 10 anni fa

La Chiesa rende oggi grazie al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo per la vita e la morte degli Apostoli: di Pietro e di Paolo. Al tempo stesso, la Chiesa rivolge oggi lo sguardo verso le sue origini: la sua esistenza, difatti, si collega con i nomi degli apostoli Pietro e Paolo, si collega con l’eredità particolare che essi hanno lasciato, sigillandola con il martirio della propria vita. “Sono questi i santi apostoli – dice la Messa di questa solennità – che nella vita terrena hanno fecondato con il loro sangue la Chiesa: hanno bevuto il calice del Signore, e sono diventati gli amici di Dio”. Questi uomini di Dio, sono entrambi della stessa patria, hanno annunciato a prezzo della vita quel Vangelo di Cristo al quale si erano totalmente votati. Pietro e Paolo, così diversi per carattere, per cultura, per ministero, eppure così profondamente uniti nell’annuncio dell’unica verità della fede e nell’eroica testimonianza del sacrificio supremo. Essi sono tra i più autorevoli interpreti del messaggio del divino Maestro e coloro, tra i suoi discepoli, che con maggiore autorità e capacità organizzativa hanno posto, secondo la mente del divino Pastore, le basi della Chiesa nascente. E così si sono dimostrati fedeli custodi del deposito rivelato, e coraggiosi esecutori delle direttive del Signore nella formazione e nella guida della comunità ecclesiale! E, oggi, tutti e due insieme ricevono la venerazione liturgica in tutta la Chiesa, per questo l’odierna liturgia ce li presenta come in un “duetto” singolare. Pietro, che prima si chiamava Simone ed era pescatore, figlio di Giona di Galilea, è fratello di Andrea. Era stato Andrea a condurlo per la prima volta a Gesù, e già durante quel primo incontro Cristo gli aveva cambiato il nome: “Ti chiamerai Cefa” (Gv 1,42). Il significato di quel nuovo nome si sarebbe chiarito più tardi, nei dintorni di Cesarea di Filippo, quando Gesù gli disse: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). In varie occasioni Gesù lo pose in evidenza tra gli altri Apostoli, ma al tempo stesso lo ammonì e lo rimproverò severamente. Pietro era senza dubbio uomo fervido, ma anche titubante, come dimostrò durante la Passione del Salvatore. Tuttavia ciò che il Padre aveva innestato nel suo cuore, non consentì a Pietro di permanere nel rinnegamento del Maestro.Uscì nella notte e “pianse amaramente” (cf. Mt 26,75). E le sue, erano le lacrime del dolore perfetto. Allora Cristo accolse questo dolore e riconfermò in Pietro l’amore sulla riva del lago di Tiberiade, quando da Risorto gli concesse di professare per tre volte il suo amore, confermandogli anche per tre volte il mandato apostolico ( cf. Gv 21,15-17). E gli disse anche “con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (cf. Gv 21,18-19). Quel momento non era ancora arrivato, quando Pietro – come ci racconta la prima lettura - fu imprigionato da Erode in Gerusalemme, quando si stava preparando per lui la sentenza di morte. Allora il Signore per mezzo del suo angelo lo strappò dalle mani di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo (cf. At 12,11). Quel momento doveva giungere molti anni più tardi, e non in Gerusalemme, ma a Roma sotto l’imperatore Nerone. In questa morte per martirio, nei tempi di Nerone, nel periodo della prima persecuzione dei cristiani, Pietro fu definitivamente unito a Paolo di Tarso. La storia di Paolo è a tutti nota: col nome di Saulo, il fariseo – era stato persecutore dei discepoli e degli apostoli di Cristo. Più tardi, anch’egli divenne un apostolo: il Signore quel giorno con tutta la potenza della sua risurrezione lo gettò a terra e lo abbagliò non per punirlo ma per convertirlo e farne “uno strumento eletto”. Cristo stesso disse di lui: “...Porterà il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome” (At 9,15-16). Con Pietro, Paolo si era incontrato prima in Palestina, poi ad Antiochia, infine a Roma. Nel periodo della persecuzione, nei tempi di Nerone, si trovarono lì nello stesso tempo. Oggi ambedue gli apostoli, Simon Pietro e Paolo di Tarso, uniti dal carisma salvifico del Vangelo vanno incontro al Signore crocifisso e risorto. Il tempo della loro morte come martiri, il tempo della definitiva testimonianza, li unì a Roma.Da questa morte, da questa testimonianza cresce la Chiesa. “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). La Chiesa cresce e crescerà anche in luoghi della terra sempre nuovi, in mezzo a diversi popoli e a diverse nazioni. Porterà in sé l’eredità degli apostoli Pietro e Paolo, grazie ai quali “le porte degli inferi” non hanno prevalso contro questa verità, che proviene dal Padre.“Le porte degli inferi”, colpendo con le spade dei persecutori, poterono mettere a morte Simon Pietro e Paolo di Tarso, ma non sono riuscite a distruggere questo legame con il regno dei cieli, che essi hanno consolidato nella Chiesa in forza della verità rivelata da Dio. La verità rende liberi per la libertà. La verità rende liberi per l’eternità.Ecco il messaggio apostolico di Simon Pietro e di Paolo di Tarso, nel giorno in cui sono stati definitivamente liberati da ogni paura.