·

Chiesa

La visita in Terra Santa di Papa Francesco

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Non c’erano dubbi che la visita che papa Francesco ha fatto in Terra Santa avrebbe lasciato il segno. Non solo per i luoghi così cari e altamente simbolici per ciascun cristiano, ma anche e soprattutto per i gesti, le parole, i segni cui questo pontificato ci ha ormai abituati. La semplicità e la fermezza delle parole di papa Francesco, infatti, hanno ancora una volta colpito il centro del bersaglio, andando dritto al problema, nel tentativo di scrostare dai cuori di ciascuno quella ruggine che spesso ci porta a non guardare con la giusta serenità ciò che accade accanto a noi, vivendo ogni gesto, ogni azione, come “altro” rispetto a noi. Del resto è lo stesso Papa che nel suo messaggio alla Chiesa cattolica tedesca sollecita tutti a diventare “costruttori di ponti nella Chiesa e nella società”. Un messaggio che ciascun cristiano deve fare proprio portando a compimento quella che è la sua vera missione: “Pregare e uscire – ricorda papa Francesco - per portare la buona novella agli altri. La preghiera è una strada a doppio senso perché è un vero dialogo". Ed è la preghiera che, in un certo senso diventa la vera protagonista di questo viaggio in Terra Santa che il Papa ha deciso di fare in un momento particolare, non solo per il Medio Oriente, ma per il mondo intero. Un mondo dove l’Uomo sempre più sta perdendo di vista i veri valori su cui fondare la propria vita ed in un momento in cui anche l’essere cristiano diventa come un “marchio mortale”. Sono tante, troppe, le notizie che giungono da ogni parte del mondo e che raccontano di persecuzioni e di esecuzioni. Sono tanti, troppi, i morti, i martiri del nostro secolo. Sono tante, troppe, le guerre che si stanno combattendo in nome di un credo religioso che ha come solo scopo quello di annientare l’altro. L’amore, quell’amore che permea tutto il Vangelo e che dovrebbe essere la stella cometa del nostro viaggio, infatti, sta lasciando il posto all’egoismo, all’idea di sovrastare su tutti, al potere.Ed in questo contesto è la preghiera quella che papa Francesco ha deciso di “utilizzare” come una sorta di grimaldello per aprire i cuori di chi da tanti, troppi anni combatte. è stata la preghiera, infatti, la protagonista nello scorso mese di settembre nella giornata per la Siria quando papa Francesco invitò a digiunare e pregare per far sì che si evitasse l’ennesimo spargimento di sangue. E sarà la preghiera quella che vedrà insieme il prossimo otto giugno in Vaticano Shimon Peres e Abu Mazen (Mahmoud Abbas), presidenti rispettivamente di Israele e Palestina, che hanno accettato l’invito di questo Papa giunto dall’altra parte del mondo a pregare insieme. Una data, quella scelta, non casuale: l’otto giugno è la festa di Pentecoste, il giorno in cui si conclude il “tempo pasquale” e si celebra il dono dello Spirito Santo che rappresenta il nucleo della fede cristiana e che sollecita a mettere in pratica quotidianamente ciò che il Cristo ci ha insegnato. La preghiera, quindi, come strumento di pace, come mezzo per scaldare i cuori ed aprirli all’amore di Dio perché, come scrive Christopher J. Hale, commentatore del Time, "se l'incontro di preghiera di papa Francesco sarà il catalizzatore iniziale per riavviare i colloqui di pace in Medio Oriente e potremo in qualche modo porre fine alla violenza perpetua che tormenta la regione, allora sapremo che l'angelo Gabriele aveva ragione: 'Nulla è impossibile a Dio'". Questo anche se quello dell’otto giugno “sarà un incontro di preghiera – come dichiara lo stesso Papa nel viaggio di ritorno dalla Terra Santa - . Non sarà per fare una mediazione o cercare soluzioni, no. Ci riuniremo a pregare, soltanto. E poi, ognuno torna a casa. Ma io credo che la preghiera sia importante e pregare insieme senza fare discussioni di altro tipo, questo aiuta".

Saveria Maria Gigliotti