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Cultura e Società

Elezioni europee. Per l’elettorato italino è “questione di leader”

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Gli Italiani sono sempre più “di governo” piuttosto che “di lotta”. Premiano chi governa dandosi delle scadenze e rispettandole a prezzo di sentirsi accusare di eccessivo personalismo politico. E – novità di portata storica – anche a sinistra non è più anatema dire che la figura del leader funziona e cattura voti. Volendo tracciare un quadro dai risultati delle elezioni europee di domenica scorsa, sono queste alcune delle principali tendenze emerse nell’elettorato italiano che, a dispetto delle previsioni, si è dimostrato coinvolto nella tornata elettorale per il rinnovo del parlamento europeo andando alle urne in percentuali nettamente maggiori rispetto agli altri stati dell’Unione: su un totale di 50.662.460 aventi diritto al voto, i votanti sono stati 28.991.258, cioè il 57,22 per cento. Che Paese ci consegnano queste elezioni europee? La dèbacle che esattamente un anno fa veniva annunciata per il partito democratico, dovuta all’intesa prima con il Pdl berlusconiano e poi con il Nuovo Centrodestra di Alfano, non si è verificata e complice l’arrivo al governo di Matteo Renzi il Pd ha fatto cappotto: primo partito su tutto il territorio nazionale con il 40,81%, 31 parlamentari eletti e vittoria in tutte le circoscrizioni anche in quelle dove il centrodestra è tendenzialmente in maggioranza, a partire dal Nord – Est e dal Sud. E il successo del partito di Matteo Renzi ha rovinato le feste in primo luogo a Beppe Grillo, convinto di vincere a man bassa: pur confermandosi la seconda forza politica del Paese, il Movimento5Stelle si ferma al 21,15% eleggendo 17 parlamentari, un risultato inferiore alle aspettative e che stride sonoramente con quel “se vinciamo si va al voto” che aveva fatto da leitmotiv alla campagna elettorale dei grillini. Se Matteo Renzi ha trovato nelle ultime elezioni europee quel consenso “nelle urne” che non aveva avuto per arrivare a Palazzo Chigi - essendo stato nominato dal presidente della Repubblica dopo le dimissioni di Enrico Letta - l’ultima tornata elettorale ha segnato un duro colpo per il leader fino ad oggi indiscusso del centrodestra italiano, Silvio Berlusconi, che con la rinata Forza Italia si ferma al 16,81% mandando a Bruxelles 13 parlamentari. La Lega Nord prova a riprendersi dopo il tracollo delle ultime politiche mentre per pochi punti superano la soglia di sbarramento il Nuovo Centrodestra di Alfano (4,38%) e L’Altra Europa con Tsipras (4,03%). I numeri non lasciano spazi a interpretazioni: più di un elettore su 3 ha espresso il proprio voto per un partito che, come avvenuto pochissime altre volte nella storia d’Italia, ha raggiunto da solo quota superiore al 40%. Come dopo ogni elezione che si rispetti, anche in queste europee the day after ha aperto la discussione all’interno dei partiti, il giro di valzer di quanti, di fronte al vincitore o al perdente, improvvisamente si accorgono di aver sbagliato o vedono nel voto degli elettori il segnale che “è tempo di cambiare qualcosa”. Gongola, a giusta ragione, l’area renziana del Pd e anche qualche anti-renziano della prima ora come Stefano Fassina ammette folgorato sulla via di Damasco che “su Renzi ha sbagliato”, lui è “l’uomo giusto al posto giusto”. Non si intravedono prospettive chiare per il centrodestra dove anche i fedelissimi del Cavaliere, tra esternazioni alla stampa e twittate, ammettono che è tempo di avviare una nuova fase mentre i “separati in casa” del Nuovo Centrodestra solo per un soffio non rimangono fuori dal parlamento europeo. Se volessimo trovare un elemento comune per spiegare le dinamiche elettorali delle ultime europee, possiamo dire che nell’elettorato italiano è “questione di leader”. Per un leader in ombra che trascina tutto il partito alla percentuale più bassa dal 1994, ce n’è un altro che fa arrivare la sinistra dove mai avrebbe sperato fino a qualche anno fa. Al “ghe pensi mi” del leader di Forza Italia che ha segnato il suo modo di fare politica, corrisponde il piglio altrettanto decisionista dell’ex sindaco di Firenze che detta tempi e argomenti dell’agenda del governo, distanti anni luce dai tradizionali e infiniti vertici di maggioranza all’italiana. Insomma, a fare il buono e il cattivo tempo nell’elettorato italiano è il leader, quello che “ci mette la faccia”. E tra un ospitata dalla D’Urso e il salotto di Porta a Porta, Matteo Renzi sta dimostrando che anche a sinistra “dire leader” non è peccato, che la comunicazione politica incentrata sulla personalità calamita gli elettori fino a farli spostare da un partito all’altro. Efficace l’analisi di Swg apparsa nei giorni scorsi sul Fattoquotidiano.it, secondo la quale “un dato evidentissimo e clamoroso è che lo steccato ideologico del Novecento si è definitivamente infranto due giorni fa. Il magnete-Renzi avrebbe contribuito a dissolvere nell’urna il blocco di centro-destra, attraendo a sé almeno tre grandi categorie di elettori tradizionalmente posizionate con Berlusconi: il Pd risulterebbe ormai il primo partito tra gli imprenditori, le casalinghe e pure tra i giovani tra i 18 e i 24 anni. Un “pieno” non solo di numeri, dunque, ma di figure sociali che non si vedevano coabitare neppure nei grandi partiti di massa, sotto l’insegna della DC o le bandiere del Pci.” Tornando in Europa, un po’dimenticata nell’analisi dello scenario politico di casa nostra, tocca ora vedere quanto i 31 parlamentari eletti nelle fila del Pd riusciranno a “cambiare verso” alla linea dell’austerity che ha contraddistinto negli ultimi anni le politiche economiche europee. E se anche di fronte ad Angela Merkel funzionerà “l’effetto leader”.