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Spiritualità

IL MONDO INTERIORE DI MARIA TRA RELAZIONE E SOLITUDINE

Cesare Natale Cesareo · 10 anni fa

La riflessione cristiana del concetto di «persona» è stata segnata per lungo tempo dalla definizione di Serafino Boezio (+ 526): «persona est rationalis naturae individua substantia» (D. Candido, Maria persona in relazione alla luce della Bibbia, in Theotokos 15 (2007), p. 360). Poi con la corrente filosofica del personalismo del secolo XX è iniziato un cambiamento di orizzonte di definizione caratterizzato da un fondamento dialogico e relazionale della persona, che non era più semplicemente un «essere» ma una «persona relazionata a Dio» (ibidem, p. 361). Il Papa Paolo VI nell’esortazione apostolica Marialis Cultus esprime bene questo concetto in riferimento alla Vergine Maria: «Nella Vergine tutto è relativo a Cristo e tutto dipende da Lui» (Paolo VI, Marialis Cultus 25, Esortazione apostolica del 2 febbraio 1974 sul culto della b. Vergine Maria, in Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 1991, vol. 5, n. 51, p. 77). Pertanto la relazione è un dato fondamentale dell’antropologia in quanto la persona non può non essere se non «in relazione» e tutto questo sposta la riflessione dal «soggetto in sé» all’insieme delle sue «relazioni ad extra da sè» (D. Candido, Maria persona in relazione …, cit., p. 361). Il mistero di Maria è comprensibile nella sua relazione con le tre persone divine e con la comunità dei credenti, nei quali ella è pienamente inserita. Poiché Maria è un mistero paradossale in quanto in lei convivono verginità e maternità, gioia e dolore, creaturalità e immacolatezza, parola e silenzio, anche il mistero della relazione in lei va contemplato alla luce del suo opposto che è la solitudine, vissuta primariamente sotto la croce. In tal modo A. Langella si chiede se il costitutivo della persona, e in Maria in particolare, sia solo la relazione (cfr. A. Langella, Maria, persona in relazione, e il paradosso della relazione come inferno, in Theotokos 15 (2007), pp. 351-358). La prospettiva teologica tradizionale di S. Tommaso vedeva la persona nel suo essere sussistente individuale, incomunicabile; poi con l’apporto della filosofia del novecento (di Mounier, Ricoeur, Buber, Levinas…) si è affermata l’idea che il dato costitutivo della persona sia la relazione io-tu, la comunicazione. Ma l’essere di Maria ha anche vissuto il dramma della solitudine e dell’angoscia? In lei i due estremi della «relazione e solitudine, della bellezza della comunione e dolore del limite imposto dall’altro, respiro paradisiaco dell’esperienza dell’amore e “penitentia maxima” della vita con gli altri» trovano una sintesi? Nella sua «totale apertura a Dio e nella sua continua disponibilità agli altri» (ibidem, p. 353) ha vissuto anche una solitudine relazionale? Nella relazione con le persone divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e nella totale donazione della propria vita, Maria ha vissuto anche il mistero doloroso e angosciante della solitudine «che hanno fatto discendere la sua vita fino all’”inferno”» (ibidem, p. 354). Infatti la sua risposta attiva e responsabile all’invito dell’angelo è stata preceduta da un turbamento dovuto alla non comprensione del mistero e all’angoscia di dover decidere da sola una questione che avrebbe riguardato le donne e gli uomini di sempre. Inoltre nel rapporto con Gesù non è stata risparmiata a Maria l’angoscia e la solitudine delle madri, ad esempio durante la fuga in Egitto (cfr. Mt 2,13-15) oppure a Gerusalemme (cfr. Lc 2,48-50). Maria ha rinunciato alla propria volontà per amore di Dio e il suo apice di sofferenza l’ha toccato nella morte del figlio in croce. Anche le persone incontrate da Maria hanno lasciato in lei una solitudine relazionale: Simeone che gli preannunciava “la spada” che avrebbe trapassato il suo cuore (cfr. Lc 2,34-35); l’ostilità degli abitanti di Nazareth (cfr. Lc 4,29); i discepoli che tradirono e abbandonarono Gesù nell’ora della passione (cfr. Mc 14,50). Anche la Chiesa, in duemila anni di storia, quante volte ha contribuito ad isolare Maria dalla storia della salvezza, dalla comunità dei salvati, impedendo ad ogni uomo e ad ogni donna di sentirla come «vera sorella» (Ibidem, p. 358)? «Maria, infatti, è detta nostra stirpe, vera figlia di Eva, benché esente dalla colpa di questa madre, e vera nostra sorella, la quale ha condiviso pienamente, donna umile e povera, la nostra condizione» (Paolo VI, Marialis Cultus 56, in Enchiridion Vaticanum, cit., n. 89, p. 119). La vita relazionale di Maria è passata attraverso momenti di afflizione e di solitudine. Questo ci fa intuire che lei non è distante dalla nostra esistenza ma la comprende e la consola con la sua presenza d’amore infondendo coraggio, forza, ed aiutando l’uomo a superare i suoi «inferni» (A. Langella, Maria, persona in relazione…, cit, p. 358).