“Umanamente non possiamo spiegarci il dolore innocente, che rimane lì, come un muro. E di fronte a questo muro ci sono due possibilità: sbatterci la testa o fare in modo, attraverso quel limite, di guardare oltre. Il modello ce lo dà il Signore che, come descrive S. Paolo nella lettera ai Filippesi, si spoglia della sua divinità per ritrovarsi nell’abisso dell’umanità e nell’abisso con l’umanità. La croce è proprio questo: condivisione dell’abisso della sofferenza e della morte. Il male rimane, ma non vince. L’ultima parola è quella del Signore ed è una parola di glorificazione”. Così il vescovo di Lamezia Terme mons. Serafino Parisi che, all’inizio della Settimana Santa, ha tenuto l’ incontro sul tema “Il dolore innocente: tra abisso e glorificazione”, appuntamento congiunto tra i due percorsi formativi della scuola biblica e della scuola dei ministeri, quest’ultima articolata nei quattro punti di Acconia, Lamezia Terme, Nocera e Soveria.
Riprendendo il percorso iniziato lo scorso anno, Parisi ha sottolineato come “la domanda sul male e sul dolore ci interessa tutti, a livello personale e collettivo. Chi non crede ha paradossalmente una strada più facile rispetto a chi crede perché può rispondere affermando che il male si verifica per causa del fato, del destino, della legge cosmica. Ma per noi che crediamo: come accordare la fede in un Padre misericordioso con il male, la bontà e la misericordia con la sofferenza e il dolore”?
Soffermandosi sul salmo 13, che inizia con l’invocazione “Fino a quando, Signore…”, il presule ha rimarcato come “il salmista, stremato ed esausto, non cerca più un perché al dolore ma domanda direttamente a Dio “fino a quando…”. Il salmista invoca Dio dall’abisso del dolore. Quindi possiamo domandarci: che senso ha credere? Quale è il senso della fede? Il salmista ci sta dicendo che la fede trova la sua ragione proprio nel baratro, non oltre; nell’abisso, non fuori: è lì che interviene la fede. La fede non è una profilassi contro il male, ma si esprime, con tutta la sua forza, dentro l’abisso del male”.
Parisi ritorna sulla vicenda di Giobbe, su cui si era soffermato già lo scorso anno, “non un uomo paziente ma un ribelle”, che arriva a “sfidare” Dio chiedendo di mostrarsi. “Dio risponde a Giobbe non sul perché del male, ma sul “fino a quando – ha proseguito il vescovo di Lamezia- E gli risponde: “ Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”. Il male è semplicemente una parte di un processo che solo Dio conosce, un’occasione per prendere coscienza della nostra finitudine e arrivare alla consapevolezza del nostro limite. Quando arriviamo alla consapevolezza del nostro limite, lì troviamo la nostra grandezza. La grandezza dell’uomo non sta nella sua superpotenza, ma nella consapevolezza che Egli ha della propria finitudine”.
“Quando l’uomo non comprende tutta l’opera di Dio, certamente deve riconoscere il proprio limite, ma questo non rappresenta la fine – ha concluso mons. Parisi – Dentro l’uomo, rimane un frammento di mistero, una scintilla di eternità. Nell’abisso del dolore, ci sono due possibilità per l’uomo: rimanerci dentro oppure aprirsi al mistero. Ed è l’apertura ad un’altra possibilità che sa far rivivere tutto ciò che nell’uomo fa esperienza della fragilità e del limite.”
Salvatore D’Elia