“Quanti sono i “sepolcri”, le tombe che ancora oggi aspettano di fagocitare l’umanità. Penso al grande sepolcro rappresentato dalle guerre. Purtroppo ci stiamo abituando a tutto questo: ci scorrono davanti agli occhi ogni giorno immagini che sembrano filmati irreali, quasi come non ci fosse una realtà corrispondente. E invece non è così: le guerre continuano a generare fame, ingiustizia, morte e disperazione. Di quanti morti c’è ancora bisogno per riempire questi sepolcri? Questa sera ci inginocchieremo di fronte alla Croce di Gesù, ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle croci che ci sono fuori o sono sulle nostre spalle: il dolore, la sofferenza, la morte”. Così il vescovo di Lamezia Terme monsignor Serafino Parisi che ha presieduto l’Azione Liturgica della Passione del Signore, in Cattedrale, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Passione e la Morte di Gesù.
“Sepolcro è il nostro Mare Mediterraneo – ha proseguito il vescovo Parisi – Quel mare che per oltre due millenni ha favorito l’incontro e le relazioni tra i popoli, quel mare che rappresenta il “liquido amniotico” della nostra cultura di pace e unità, oggi è diventato occasione di divisione, “tomba” per quanti vorrebbero arrivare da noi per trovare migliori condizioni di vita e dentro quel mare continuano a morire. C’è una tomba nel mare e c’è una tomba sulla terraferma: quella del nostro egoismo che non riesce a vedere il bisogno dell’altro, che vede nell’altro un nemico e non un fratello. L’uomo si realizza come uomo quando è capace di impegnarsi con l’altro responsabilmente, per non abbandonarlo, per essere costruttore insieme con lui del suo futuro. L’uomo non è “lupo” dell’altro uomo, l’altro non è per me occasione di guadagno, ma l’altro è colui che mi domanda attenzione e io rispondo con una parola impegnativa: la carità. Non scaviamo altre tombe di egoismo su questa terra”.
Per il vescovo di Lamezia, tombe sono “le opportunità di lavoro che mancano: quanto lavoro mortificato, quanto sfruttamento nel mondo del lavoro, quanta umanità calpestata e fagocitata dalla fossa dell’egoismo e del facile guadagno. Anche qui, nella nostra terra di Calabria. Tante volte questi “calvari” sono preceduti da vie crucis lunghissime. Pensiamo al dramma della migrazione sanitaria: è possibile, in una società che si definisce civile, che una persona sia costretta a fare una via crucis prima per avere un timbro, poi per una prenotazione, poi per trovare una collocazione più o meno vicina nel giro di due anni, se va bene? Questa è la croce solo di alcuni, perché chi ha la possibilità di pagare risolve diversamente. Sono o non sono croci? Sono o non sono calvari? Sono o non sono vie crucis che percorriamo continuamente?”.
E ancora, richiamando il recente documento dei vescovi calabresi, Parisi ha parlato dell’autonomia differenziata come “di una grande ferita che si sta aprendo”, ribadendo che “l’Italia non cresce se non insieme. La logica della divisione, del “veditela da solo”, che vorrebbe lasciare sole a se stesse le zone più depresse del Paese, del nostro Sud, deve lasciare il posto a una visione di sussidiarietà, di giustizia, in cui le opportunità di lavoro, assistenza sanitaria, di servizi e iniziativa imprenditoriale siano dappertutto uguali”.
“Di fronte alla morte di Gesù, di fronte al dramma di ogni uomo che soffre e muore ingiustamente – ha rimarcato il presule – la parola più eloquente è quella del silenzio. Non un silenzio vuoto, ma un silenzio che è preludio all’ascolto della Parola di Dio, che ci predispone ad accogliere e rendere operativa nella nostra vita la Parola di Dio. Questa sera, quando ci inginocchieremo davanti alla Croce, nel silenzio pensiamo alle tante croci fuori e sulle nostre spalle. E, una volta rialzati da quell’atto di adorazione, cerchiamo di essere responsabili e attivi perché nessuna di queste “tombe” possa essere ancora soddisfatta accogliendo nuovi morti”.
Al termine della processione della Beata Vergine Addolorata, alla quale il vescovo Parisi ha partecipato insieme al capitolo della Cattedrale, il pastore della chiesa lametina ha rinnovato l’invito ai credenti ad “attraversare le strade dell’umanità da protagonisti e costruttori di una storia nuova, segnata dalla speranza. Il grido di Gesù sulla Croce e la Vergine Addolorata, che raccoglie le lacrime e i dolori di tutta l’umanità, continuano a dirci che l’amore può ricostruire la storia”.
Salvatore D’Elia