“La cura dell’ammalato non è solo un fatto tecnico, una somministrazione di farmaci importante e decisiva, ma è il contatto umano con il malato, è cura che abbraccia il paziente e lo sorregge”. Così, nel corso della sua omelia, il vescovo, monsignor Serafino Parisi, durante la celebrazione eucaristica da lui presieduta in Ospedale a Lamezia Terme nel giorno in cui si celebra la “XXXI Giornata mondiale dell’ammalato”.
Un’attenzione particolare, quella di monsignor Parisi nei confronti degli ammalati, di chi soffre, dimostrata sin dal giorno del suo ingresso in Diocesi quando fece la sua prima visita ufficiale proprio ai degenti del “Giovanni Paolo II” per dimostrare vicinanza sia agli ammalati, ma anche a chi si prende cura di loro ed alle loro famiglie.
E stamani, appena giunto in ospedale, ha voluto far precedere la celebrazione eucaristica, officiata insieme al cappellano del “Giovanni Paolo II”, padre Giuseppe Ferrara, al direttore dell’Ufficio di pastorale della salute, don Francesco Farina, al segretario, don Marco Mastroianni, ed al cerimoniere, don Antonio Colombino, dalla visita in alcuni reparti del Nosocomio per incontrare gli ammalati e per “pregare insieme”, ha detto, raccontando, senza nascondere la sua emozione, che, nel vedere chi, “con difficoltà a causa delle cannule, si è fatto il segno della croce”, ha avuto “prova di come sia forte questa Parola del libro del profeta Isaia”, da cui era tratta una lettura del giorno, ma anche di cosa significhi realmente “consolazione” che è “l’unica cosa che si può fare quando una persona è lì, ammalata. È quello – ha aggiunto – che non ci è stato consentito di fare in questi due anni di Covid durante i quali abbiamo corso il rischio di essere definiti ‘barbari del Terzo Millennio’ con le persone morte da sole, lontane dai loro affetti”.
Consolare per il Vescovo, infatti, significa “stare con chi è solo. Quella presenza –ha detto al riguardo – , quella compagnia quando si è da soli, ammalati, è il segno di una civiltà dell’uomo che sa farsi vicino a chi in quel momento è nella debolezza, stando accanto all’ammalato, abitando la sua malattia”. Consolare, quindi, è stare accanto a chi soffre, come “Dio lo fa con noi, facendoci sentire la sua compagnia”, è “tenere compagnia a Dio stesso nella carne del malato. Il segno migliore della cura – ha aggiunto il Vescovo che ha colto l’occasione per ringraziare medici, infermieri, operatori sanitari, volontari per tutto ciò che fanno quotidianamente per chi soffre – è fare sentire a chi è ammalato che non è da solo ed anche, per chi è alla fine, che la sua storia continua. E questa è una grande consolazione. La cura per chi è debole – ha concluso monsignor Parisi – , indica che dentro l’umanità c’è già la possibilità di risolvere il problema dell’altro, c’è una compensazione tra la debolezza e la forza”.
Saveria Maria Gigliotti